L’estate scorsa, insieme a Selene e Serena, le autrici di questo blog, ho avuto il piacere di visitare l’incantevole villaggio di Haworth, in cui hanno vissuto i fratelli Brontë. Oltre alle diverse escursioni nella brughiera che si propaga tutta intorno al Parsonage, abbiamo programmato una gita a Bolton Abbey, a circa mezz’ora di auto da Haworth, nel North Yorkshire.
Nel cuore verde dell’antica tenuta, sorge la Chiesa del Priorato, accanto alle maestose e suggestive rovine di un’abbazia medievale di frati agostiniani, fondata nel 1154 e abbandonata nel 1539. Camminare in silenzio tra le rovine dell’edificio, all’interno della meravigliosa navata gotica, ormai priva di copertura, è stato emozionante, non solo per la bellezza naturale del luogo, ma anche perché sapevamo che lì, tra quelle antiche mura che si ergono tra i verdi prati, c’era passata Charlotte Brontë, insieme alla sua famiglia.
In effetti, dopo alcune ricerche svolte all’interno della biblioteca del Parsonage, abbiamo scoperto che Charlotte visitò l’abbazia nel settembre del 1833, all’età di diciassette anni, insieme alla sua famiglia e a quella della sua cara amica Ellen Nussey. È proprio quest’ultima che, nelle sue Reminiscences, racconta dettagliatamente il viaggio in carrozza organizzato da Branwell, attraverso la brughiera, le colline e i villaggi, fino all’arrivo all’incantevole Bolton Abbey, che si erge vicinissima al fiume Wharfe.
Pochi mesi dopo, nel maggio del 1834, Charlotte Brontë realizzò una piccola veduta a matita su carta, oggi conservata al Parsonage Museum, in cui sono inquadrate le rovine di Bolton Abbey, inserite all’interno della pittoresca cornice creata dal fiume che scorre placido nel suo tratto più ampio, ma anche dalla folta vegetazione ed in particolare dal grande albero sulla destra. Questo lavoro, seppur di piccole dimensioni e a matita, ottenne un notevole successo alla Summer Exhibition of the Royal Northern Society for the Encouragement of the Fine Arts, tenutasi a Leeds nel 1834.
Molto probabilmente si tratta di una veduta notturna, in cui il chiaro di luna illumina la parte centrale del disegno. Ciò che colpisce è l’estrema cura che la giovane Charlotte ha impiegato nella descrizione della miriade di foglioline dell’albero, unita alla sapienza nell’uso del chiaroscuro e soprattutto dello sfumato, utilizzato per rendere al meglio lo sfondo costituito dalle colline e dal ponte di pietra, invasi dall’umidità serale che sale dal fiume. Imponenti e poetiche compaiono sulla destra le rovine della Chiesa del Priorato, già senza volta, con i finestroni a sesto acuto aperti sullo spazio circostante, a far penetrare la ricca natura all’interno dell’antico edificio ormai in disuso. È una veduta romantica, che contiene in sé l’essenza del paesaggio inglese, quello che unisce il sublime al pittoresco, proprio come nelle opere di William Turner (1775-1851).
In effetti, Charlotte sapeva che lì, proprio a Bolton Abbey, era passato tanti anni prima l’artista londinese, realizzando numerosi studi dal suo stesso punto di osservazione. Anzi, è certo che Charlotte non abbia realizzato la sua veduta dal vero ed en plein air, ma che l’abbia ripresa da un’incisione di Edward Finden, apparsa nella rivista “The Literary souvenir”, nel 1826 e a sua volta tratta da un acquarello di Turner risalente al 1809 e oggi conservato al British Museum.
Quella di Turner è una veduta realizzata durante il suo primo viaggio nello Yorkshire come ospite del proprietario terriero dello Yorkshire, Walter Fawkes, a Farnley Hall, nel 1808. L’inquadratura dell’Abbazia è dal lato nord, proprio come quella di Charlotte, anche se, rispetto ad essa, appare realizzata da una distanza maggiore e, soprattutto, di giorno. Nella scelta di ritrarre rovine gotiche, che Charlotte mette in atto anche nella veduta coeva di Kirkstall Abbey, si ritrova l’intenzione di riportare alla luce un misterioso passato perduto, nella piena sensibilità romantica di unire gli aspetti naturalistici, e quindi divini, con quelli legati alla creazione umana. Dunque, le splendenti rovine dell’Abbazia sorgono in una natura rigogliosa e viva, ma anche spaventosa, già celebrata da William Wordsworth nel lungo poema The White Doe of Rylstone, scritto dopo la sua visita a Bolton Abbey nel 1807. Passeggiare lì in un pomeriggio caldo d’agosto, tra le incantevoli rovine e la natura tipicamente inglese è stato incredibile. Con il fiume Wharfe, carico di leggende fantastiche, che scorre calmo dopo le rapide dello Strid, fotografare l’Abbazia cercando di riprodurre la stessa inquadratura della veduta di Charlotte, ci ha fatte sentire più vicine ai Brontë, nel ricordo di una gita lontana nel tempo, al di fuori della loro piccola Haworth.
Elena Lago, storica dell’arte
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