Gli orizzonti mi circondano come fascine,
inclinati e diversi, e sempre instabili.
Toccati da un fiammifero, potrebbero scaldarmi,
e le loro linee sottili strinare
l’aria di arancione
prima che le distanze da loro trattenute evaporino,
appesantendo il pallido cielo di un colore più solido.
Invece, via via che avanzo, si dissolvono e dissolvono,
come una serie di promesse.
Non c’è vita più alta della cima dell’erba
o del cuore delle pecore, e il vento
si riversa come il destino, piegando
ogni cosa in una sola direzione.
Lo sento che cerca
di svuotarmi del calore.
Se presto loro troppa attenzione,
le radici dell’erica mi inviteranno
a imbiancare le mie ossa in mezzo a loro.
Le pecore sanno dove sono,
brucano avvolte in sporche nuvole di lana,
grigie come il tempo.
Sono accolta dalle nere fessure delle loro pupille.
E’come essere spedita nello spazio,
messaggio esile e sciocco.
Loro se ne stanno là camuffate da nonne,
tutte riccioli posticci e denti gialli
e belati duri, di marmo.
Arrivo a solchi di ruote, e ad acqua
limpida come le solitudini
che mi sfuggono tra le dita.
Sulla soglia scalini incavati vanno di erba in erba;
architrave e davanzale si sono scardinati.
Delle persone l’aria ricorda solo
poche sillabe sparse.
Le ripete gemendo:
pietra nera, pietra nera.
Il cielo si appoggia su di me, l’unica eretta
tra tutti gli orizzontali.
L’erba batte il capo forsennatamente.
E’troppo delicata
per una vita in simile compagnia:
il buio l’atterrisce.
Ora, nelle valli strette
e nere come borsellini, le luci delle case
occhieggiano come piccole monete.
Sylvia Plath, 1961
Adoro Sylvia… <3
già, era una donna di una sensibilità unica… 😉